Perchè sperare oggi?


L'ultima definizione della realtà è che essa è positiva e la Misericordia di Dio è la più grande parola. Questo è certo, occorre rimanere saldi nella speranza.

Perché tutta l’apparenza è contro la speranza, perché tutta l’apparenza è distrazione, intemperanza d’affettività, affanno. […] Allora l’energia della speranza si vede che spezza le pareti.

Don Luigi Giussani

LA TESTIMONIANZA DI ENRICA


Quale speranza per noi e per i nostri ragazzi in un periodo di incertezza come questo?

Mi chiamo Enrica, sono sposata con Piercarlo, ho quattro figli, insegno in una scuola superiore. Quando la pandemia ha stravolto la nostra vita ero molto preoccupata per la mia famiglia, per i miei figli, per i miei alunni, per i ragazzi che incontro nell’esperienza di G.S. Li vedevo spenti, insoddisfatti, ripiegati su di sé. Cercavo qualcosa a cui richiamare me stessa e loro, qualcosa che derivasse dall’esperienza cristiana che avevo fatto fino a qual momento, pensavo che qualche discorso costruttivo potesse bastarmi per affrontare la realtà. Ma non era così. I discorsi non reggevano l’urto di circostanze difficili da affrontare ed io non ero né contenta né convincente. Non bastava che io ripetessi che tutta la realtà è positiva se per prima io non ero convinta fino in fondo che fosse così. Sono poi accaduti alcuni fatti. Alcune amiche mi hanno invitato a trovarci ogni giorno a pregare su zoom, a leggere i contributi di don Julian Carron, a volte a fare un semplice aperitivo virtuale. Ho cominciato a partecipare agli incontri di G.S. su zoom e sono stata molto colpita dal modo in cui alcuni ragazzi si sono mossi perché hanno avuto il coraggio di denunciare la fatica che stavano facendo, hanno espresso tutto il loro disagio e da lì sono ripartiti. Si sono mossi partendo dalla realtà che stavano vivendo e non da un’idea, anche buona, sulla realtà come invece stavo cercando di fare io.

I ragazzi hanno cominciato a trovarsi a studiare su zoom, a collegarsi con altri amici di Modena e dell’Emilia per fare incontri allargati di scuola di comunità. In questi incontri mi colpiva la posizione di alcuni di loro che con insistenza chiedevano di essere aiutati a vivere la situazione nella quale si trovavano. Ho cominciato anch’io a lasciarmi sfidare da quello che vedevo accadere tra di loro, ho iniziato a partecipare a questi incontri portando tutto quello che ero io, non un ruolo, ma la mia persona, portando le mie difficoltà, la mia ricerca, le mie domande. Partecipare di una vita come questa, di una realtà fatta di amici, di ragazzi e di insegnanti al lavoro sulle questioni fondamentali della vita e pronti a guardarmi sempre in modo positivo, mi ha aiutato tanto me a rivedere la mia vita, a ritornare a domandarmi come riconoscere nella realtà la presenza di Gesù anche in un periodo così confuso e incerto come quello che stavo vivendo.

Come un fiore nel deserto è rinato in me il desiderio di fare lezione, di stare per ore davanti ad un video con i ragazzi; ho riscoperto anche il piacere di stare con la mia famiglia. Capivo da questi piccoli segni che stava nascendo in me la consapevolezza che le circostanze non fossero un ostacolo da superare per poter cominciare a vivere, ma un’occasione per vivere, una strada su cui camminare per imparare a vivere. Questo per me è un grande segno di speranza, è il contributo che posso dare ai miei alunni che in molti casi non vivono un’esperienza cristiana, ma che hanno il cuore, lo strumento infallibile di ogni uomo con cui paragonare qualsiasi proposta.

Da ultimo, un fatto recentemente accadutomi. In seguito ad una caduta accidentale sul ghiaccio durante le vacanze di Natale mi sono fratturata un polso ed ho dovuto subire un intervento chirurgico. Quando sono ritornata a scuola, dopo che non vedevo i miei alunni da più di un mese, la prima cosa che mi sono sentita di dire loro è stata: ”Comunque, anche in questa situazione che ho dovuto affrontare mi sono resa conto che la realtà è positiva, che la realtà non mi ha mai tradito”. Questa non era una frase fatta, ma il racconto di ciò che mi era capitato: la compagnia dei miei familiari e dei miei amici, l’affetto che ho sentito su di me in questa circostanza, i numerosi messaggi, il ricordo di tante persone, gli incontri. Ho notato che mi guardavano con curiosità e con il desiderio che questo fosse vero per loro, sempre. In quel momento mi sono sentita completamente coinvolta nel rapporto con loro ed ho pensato che questo è davvero l’essenziale in un rapporto educativo: non preparare lezioni perfette, non saper fare grandi discorsi, ma coinvolgermi con i ragazzi, portando loro nelle mie lezioni lo sguardo che ho ricevuto su di me e che non mi abbandona mai, soprattutto quando le fatiche e le difficoltà sono più stringenti. Questa per me è l’educazione, questa è la speranza per me e per i miei alunni.